MINI STORIA DELL'ASSOCIAZIONE
SERVIRE NEL SUO NOME – UN’OSPITE “STRAORDINARIA”
di Anna Rita Nicoletti
Teresa si era fatta accompagnare da don Antonio,un diacono nostro volontario. Era la prima volta che andava a prendere in consegna una reclusa dal carcere per un permesso speciale di 12 ore.
La giornata non era fredda ma umida e nuvolosa. Teresa era emozionata e nervosa. Aveva consegnato i propri documenti con la lettera dell’associazione all’entrata della Casa Circondariale di Foggia e aspettava con don Antonio in macchina.
Il tempo passava lento, erano le 8,20 e la donna sarebbe dovuta uscire alle 8,00. Così scese dalla macchina e andò verso la custodia del Carcere per chiedere spiegazioni. Una guardia carceraria le andò incontro per dirle che la detenuta era pronta per uscire.
Marina, una donna colombiana di circa 33 anni con lunghi capelli neri e di statura piuttosto alta e robusta, si presentò. Tremava un po’ per l’emozione e un po’ per lo stress accumulato per l’attesa. Non aveva dormito tutta la notte e si era alzata prestissimo. Usciva per la prima volta con un permesso dopo 3 anni e mezzo di detenzione. Teresa la invitò ad entrare in macchina ove era in bella mostra un grande uovo di Pasqua per lei. Questo dono attenuò l’imbarazzo che provava per la presenza delle due persone sconosciute che sentì improvvisamente amiche.
Alla Casa Famiglia di via Sperone, 36 era attesa e i ragazzi e i volontari l’accolsero calorosamente. Io arrivai verso le 10 e trovai Marina tutta indaffarata con i volontari a preparare il pranzo pasquale. Era troppo presa per parlare, stava centellinando l’emozione di ritrovarsi in famiglia e questo stato traspariva in tutta la sua persona. Era felice. Quando andai via, mi strinse forte pronunciando un grazie e un augurio a metà labbra, quasi impercettibile. Verso le 20,30 volli accertarmi che il rientro di Marina nelle carceri si fosse svolto senza alcun ostacolo. Sentii nella voce di Teresa tanta tristezza. Mi disse che al momento del distacco con Marina, proprio quando il cancello si era rinchiuso, aveva avvertito un tonfo al petto. Mi disse che aveva provato questo, solo al distacco da sua sorella.
Che strano! Quella donna che, fino al mattino, era per lei una sconosciuta, ora provocava in Teresa un così forte sentimento fraterno. Parlando con i volontari e i ragazzi, tutti mi dissero di aver trascorso un Pasqua piena di gioia e di avere provato dispiacere al rientro di Marina in carcere.
Due giorni dopo mi è arrivata con Posta Prioritaria, una lunga lettera ove, oltre a ringraziarmi della bella giornata, Marina scrive tra l’altro (cito alcuni passi della lettera) “Ringrazio Dio per avermi portata qui dentro (nelle carceri) anche se per tanti altri è un posto di sofferenza, per me è un posto che mi ha dato molto come persona e mi ha fatto conoscere il vero valore delle persone che stanno intorno a me”. E ancora… “Non tutto nella vita è nero e ogni giorno sono sempre più convinta di questo perché ci sono persone come lei che ci vogliono bene anche se ci conoscono in questo posto. Io so che Dio ha messo intorno a lei degli angeli per aiutarla e proteggerla nel suo lavoro”. E inoltre“ Queste belle cose le porto con me e sarà una storia meravigliosa che racconterò alle mie figlie”.
Di persone come Marina, nel mio lungo servizio di volontariato nelle carceri, ne ho conosciute tante: sono le stesse che anche quest’anno, hanno confezionato oltre trecento fiori di carta offerti dai ragazzi in occasione della festa della mamma; che, per Natale, hanno preparato tanti piccoli Gesù Bambino in gesso, da noi portati in dono agli anziani del Reparto di Geriatria.
Sono le persone alle quali pensiamo di dare qualcosa e, invece siamo noi a ricevere tanto da loro.
I sentimenti e i valori umani sono universali e si trovano anche all’interno delle mura di un freddo carcere.
11/06/2016 (8.continua)
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SERVIRE NEL SUO NOME
di Anna Rita Nicoletti
Era una telefonata come tante. Una voce maschile chiedeva notizie sulla nostra Associazione di Volontariato. Poi si presentò: <<Matteo Notarangelo, laureato in Sociologia, di Monte S. Angelo>> e mi chiese un appuntamento. Era il primo martedì del dicembre 1995 e gli risposi che poteva venire il venerdì successivo. Il venerdì si presentò un altro impegno e, non sapendo come avvertire il dott. Notarangelo, feci in modo di rinviare quell’impegno ad altra data.
Alle 11 in punto venne accompagnato da un uomo anziano e un giovane. Mi fece tante domande e, alla fine, mi chiese se potevamo aprire una Sede della nostra Associazione a Monte S. Angelo.
In verità, di queste richieste ne avevamo già avute tante ma non ero molto propensa ad aprire altre sedi se non conoscevo bene la persona che doveva fare da Coordinatore e Responsabile della nuova sede. Uno sbaglio di valutazione poteva compromettere tutto il lavoro fatto con sacrifici di anni. Quella persona così semplice nel parlare mi dava tranquillità e fiducia. Mentre ascoltavo e l’osservavo, mi vennero all’improvviso alla mente le parole dette da una volontaria, pochi giorni addietro. La signorina Mimma (vi ho già parlato di lei in altre occasioni) aveva espresso il desiderio di mettere una grande statua di san Michele Arcangelo nello spazio attiguo alla Cappella della “Fattoria” sulla Foggia-Manfredonia.
Presa alla sprovvista, chiesi alla signorina Mimma, cosa centrasse quella statua nella nostra struttura e lei, di tutta risposta, mi disse: “c’entra, c’entra, vedrete come c’entra!”.
Queste parole mi risuonarono all’orecchio, così dissi al dottor Notarangelo che potevamo provare ad aprire una sede a Monte S. Angelo. Facemmo subito domanda al Comune per l’assegnazione di alcuni locali, che il dottor Notarangelo aveva già individuato nell’ex Pretura, rimasti vuoti e un bel po’ malandati. Per la verità, per aprire la sede e un Centro Diurno, il dottor Notarangelo, che lavorava presso il Comune e precisamente alla Biblioteca, si impegnò molto e li ottenne ad un fitto accessibile alle nostre casse. Gli accomodi furono fatti anche con l’aiuto di un gruppo di volontari di Monte S. Angelo. Quando andai, dopo aver firmato il contratto con il Comune, per la consegna ufficiale delle chiavi, portai una targa con la scritta “Segretariato Sociale” che conservavo da quando l’avevamo tolta dalla Caritas a S. Severo.
Il nuovo centro era venuto abbastanza bene, oltre ad una grande sala riunioni, due uffici forniti di fax, computer e altro, vi era una grande mensa per la distribuzione dei pasti non solo ai nostri ospiti ma a tutti quelli che non hanno la possibilità di avere un pasto caldo. Inoltre è fornito di una sala laboratorio, sala giochi e sala terapia.
Mi accorsi subito che avevo fatto bene ad accettare quella proposta. Il dottor Notarangelo si stava rivelando una persona straordinaria e instancabile. Si era subito attivato a formare un gruppo valido per portare avanti un progetto, quello di lavorare per persone con problemi psichici. Furono indetti subito convegni e mostre per far conoscere questa nuova struttura e i servizi che si davano.
Furono coinvolte le scuole. Una classe presentò un plastico realizzato dagli alunni intitolato: <<il Centro Diurno visto dai ragazzi>>, il plastico è in mostra nel nostro Centro.
Prepararono con abilità e bravura una manifestazione teatrale, protagonisti gli stessi assistiti. La sala era piena, vi erano esperti del settore di Foggia, Manfredonia, Cerignola, Monte S. Angelo e alcuni di fuori provincia. Un’iniziativa riuscitissima che fece eco a livello nazionale.
Si registrò al tribunale un mensile che girò per tutta l’Italia. In meno di due anni dall’apertura di questa nuova sede, i frutti fecero conoscere questa nuova sede che si stava specializzando in un problema nuovo per tutta la Regione. Incuriosì l’Asl di Manfredonia-Cerignola e quando presentarono il progetto, dopo gli adeguati accertamenti, ci chiamarono per firmare la Convenzione. Le difficoltà e i sacrifici non sono mancati ma la tenacia dei nostri volontari non si è fermata . Sentita la necessità di aprire una casa di accoglienza, si è preso in fitto un appartamento poi un secondo appartamento, poi un terzo. Ora ne sono ben sei.
Le necessità aumentano, così si sono richiesti e ottenuti altri locali dal Comune. I locali però sono in pessime condizioni e per renderli abitabili si stanno spendendo molti soldi: in questi locali si vuole realizzare una grande Comunità-Alloggio Polivalente con palestra, sala-terapia e camere di accoglienza per andare incontro alle molteplici richieste ed emergenze che si presentano giorno per giorno.
Questo Centro è di circa 300 metri quadri e il modo in cui sta sviluppando è all’avanguardia, per i molteplici servizi che presterà e diventerà sicuramente uno dei primi Centri della nostra Regione.
Di progetti, in cantiere, ve ne sono tanti. Le strutture possono essere anche delle grandi risorse per il futuro di queste persone, ma la cosa che apprezzo di più in questo impegno è l’amore che si sente tangibile quando si entra in una delle case (piccoli gioielli ristrutturati e arredati con gusto) che i malati gestiscono autonomamente sotto l’attenta guida di esperti.
Guardando, quando arrivo a Monte S. Angelo, la grande insegna luminosa <<Centro Diurno “Genoveffa De Troia”>>, che brilla come un astro e, vedendo la Basilica di S. Michele Arcangelo, ricordo le parole della signorina Mimma <<c’entra, c’entra, vedrete come c’entra>> e ringrazio il Signore e Genoveffa che quel giorno mi hanno illuminata facendomi accettare la proposta di Matteo Notarangelo.
13/05/2016
(7. continua)
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SERVIRE NEL SUO NOME
di Anna Rita Nicoletti
Chiesi al Parroco della chiesa di S. Giovanni Battista di Lucera, monsignor Michele Ricci di liberare la casa ove era nata Genoveffa, in piazza Principessa Maria Josè, oggi via Di Vagno n. 5 in quanto l’avevano riempita di cartoni colmi di libretti e immagini sacre. La muffa che si era formata per l’umidità e la sporcizia accumulata davano a quel “basso” (due gradini sotto il livello stradale) l’aspetto di un immondezzaio da cui si sprigionava un odore nauseabondo.
Togliemmo quei cartoni e ci rendemmo conto che il materiale contenuto era ormai inservibile. Pulimmo tutto ma questo lavoro non bastò. L’umidità era tanta che le pareti e il pavimento trasudavano acqua. Era stata molto chiusa e trascurata. Fummo costretti a mettere, aderenti alle pareti, dei pannelli di legno e poi tinteggiarli. Sui pannelli appendemmo dei quadri a giorno che riempimmo di fotografie, scritte e documenti.
Quando la casa fu pronta chiamammo monsignor Ricci che venne a vederla e si congratulò con noi per il lavoro fatto. La casa fu aperta al pubblico e affluivano molti devoti e curiosi. Allestimmo una mostra intitolata “Immagini e documenti della Venerabile Genoveffa” (la mostra è ancora allestita). Facemmo una campagna conoscitiva per le scuole. Vennero molte scolaresche. Fu indetto un concorso di poesie al quale parteciparono tutte le scuole della 4a elementare alla 3a media. Il Vescovo, monsignor Raffaele Castielli, consegnò a tutti gli alunni partecipanti un attestato.
Volendo scrivere un cenno storico su questa casa, possiamo dire che fu acquistata il 2 marzo 1961 dietro interessamento di p. Angelico da Sarno e della professoressa Enrichetta Colabella, che aveva conosciuto Genoveffa in vita ed era rimasta colpita dalla sua grande spiritualità. Dopo l’acquisto, la casa fu rimodernata lasciando, però, qualche segno del passato per ricordare i circa 10 anni di vita trascorsi da Genoveffa bambina. La casa fu meta di visitatori che affluivano quotidianamente e non so quali furono le ragioni del suo abbandono.
Nella chiesa di S. Giovanni Battista, dove Genoveffa fu battezzata il 21 di ogni mese si celebra la S. Messa per la ricorrenza della sua nascita.
L’8/12/1962 si costituì la “Famiglia Spirituale”, gruppo desiderato già in vita da Genoveffa e la professoressa Colabella fu eletta vice presidente. La signorina Colabella proveniva da una famiglia di alto rango sociale e aveva fatto iscrivere nel gruppo professionisti e benestanti, ma questo gruppo si sciolse subito dopo la morte della professoressa Enrichetta.
Noi, già negli anni ’60, andavamo nelle carceri di Lucera. Allora vi era la Sezione femminile e facevamo servizio sia al maschile che al femminile; vi andavamo spesso e numerosi e il Direttore di allora, dottor Solimine, ci permetteva di entrare senza problemi. Poi la Sezione femminile fu tolta dalla Casa Circondariale di Lucera, restando in tutta la Provincia solo una Sezione femminile a Foggia. Noi continuammo e continuiamo a svolgere il servizio in queste Carceri anche se ora i permessi per entrare arrivano dal Ministero della Giustizia. Nei reparti maschili, oltre a dare conforto morale, si sono svolti Corsi per la lavorazione del cuoio, della ceramica e della scagliola. L’esigenza di aprire anche a Lucera un Segretariato Sociale e un Centro Diurno, la sentimmo subito ma dovemmo girare poiché non era facile trovare un buon locale e spendere poco.
P. Emanuele Populizio, cappellano delle carceri lucerine, ci venne incontro presentandoci l’avvocato Pio Caso che aveva un piccolo appartamento proprio vicino alle carceri, in via S. Francesco Fasani 24, che ci diede in uso gratuito. Ad essere sinceri la sede lucerina ci procurò subito dei problemi e ce ne procura ancora. Non ci sono molti volontari e manca principalmente un bravo coordinatore. Ora sembra che le cose si stiano mettendo a posto, alcune persone qualificate e devote di Genoveffa stanno dando la propria disponibilità. A Lucera, oltre al servizio nel carcere, facciamo parte della Consulta delle Associazioni di Volontariato cittadino, siamo membri del Consiglio di Amministrazione del Centro “Padre Maestro” ove il presidente è il Vescovo Mons. Francesco Zirrillo.
Nel centro “Padre Maestro” la sala guardaroba è stata intitolata a Genoveffa De Troia e vi è appeso alla parete una grande foto della Venerabile. Al centro fanno servizio alcuni obiettori.
Inoltre, nella sede di via San Francesco si sono tenuti Corsi sul Volontariato e Carcere e uno sullo Geriatria, concretizzatisi con un servizio agli anziani sia a domicilio che alla casa di riposo ”De Peppo Serena”.
Al convegno sul tema carcerario intervennero, tra gli altri, il Magistrato di Sorveglianza dottoressa Elisabetta Pugliesi, il dr Carlo Castelli, consigliere nazionale S.E.A.C., il dr Vittorio Parracino, direttore delle carceri di Bari e mons. Giovanni Giuliani.
Sono state allestite mostre e vendite di beneficenza e la città di Lucera ha assegnato all’Associazione l’attestato di Benemerenza.
L’umidità ha rovinato nuovamente la Casa di via Di Vagno, ma siamo subito intervenuti per far sì che la casa sia sempre aperta al flusso di gente che viene per trovare il giusto raccoglimento, per una preghiera o per chiedere l’intercessione della Venerabile.
La Casa di via Di Vagno a Lucera è aperta tutti i giorni feriali dalle ore 9 alle ore 13,30.
Vorrei che i lucerini fossero più devoti e attenti alla divulgazione della figura e della spiritualità di questa loro concittadina.
15/04/2016
(6. continua)
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SERVIRE NEL SUO NOME
di Anna Rita Nicoletti
La morte di p. Ermenegildo ci aveva demotivati, non avevamo più voglia di fare niente. Portavamo avanti le attività intraprese senza entusiasmo. Proprio in quel periodo p. Leonardo, l’allora Vice postulatore della causa di canonizzazione di Genoveffa, aveva deciso di chiudere la sezione dell’asilo collocato nell’appartamento situato sulla Casa ove era vissuta e morta Genoveffa, con l’entrata in Via Sperone n. 8. Quell’appartamento aveva per noi un certo valore affettivo poiché avevamo lottato con p. Angelico da Sarno per averlo dall’Amministrazione Comunale di Foggia, proprietaria dell’intero stabile. Avevamo messo su alla meglio quei locali usandoli poi come mensa per i bambini bisognosi nel periodo che andò dal 1959 al 1964. In quel tempo la povertà aveva il volto della fame.
Pregai p. Leonardo di non restituire l’appartamento al Comune, saremmo subentrati noi pagando il fitto dovuto. L’avremmo usato per farne una Casa Famiglia ove ospitare ragazzi a rischio.
Quella Casa ci restituì la speranza e la voglia di fare. La ristrutturammo completamente, arredandola con mobili nuovi che acquistammo a rate per mancanza di soldi. Quando fu pronta, aspettammo che l’inaugurazione coincidesse con il giorno del primo anniversario della morte di p. Ermenegildo, il 9 ottobre 1989. Venne, per la benedizione, l’arcivescovo monsignor Giuseppe Casale; presenti il prefetto dottor Pasci, il sindaco Chirolli e numerose autorità. Fu illustrata ampiamente la umile e grande figura di Genoveffa e ricordati i carismi di p. Ermenegildo.
Subito dopo arrivò da Apricena il primo ragazzo. Un ragazzo turbolento che ci diede non pochi problemi. Poi tre fratellini da Rodi.
Nel frattempo avevo conosciuto una signorina di Vieste, la signorina Mimma, un’insegnante in pensione che ci sostenne e si legò molto alla nostra Associazione. Parlando con entusiasmo a una sua amica di Vieste delle nostre attività, la coinvolse spingendola a telefonarci per dare la sua disponibilità se si fosse presentata una emergenza. L’emergenza capitò e la signorina Angela, questo è il suo nome, venne per trascorrere qualche giorno nella Casa-Famiglia. La bimba più piccola dei fratellini di Rodi sentì il bisogno di confidare solo alla signorina Angela che lei non era stata battezzata e i fratelli non avevano ricevuto la Prima Comunione.
La signorina Angela rimase molto colpita da questa rivelazione che vide come un segno del Signore. Parlò con il parroco della chiesa di Gesù e Maria, che è la Parrocchia della Casa Famiglia, e decise di restare tutto il tempo per la preparazione sia per il battesimo della bimba che per la Prima Comunione dei fratelli più grandi.
Dopo aver adempiuto a questo compito, forse inconsciamente, comprese che la Casa Famiglia le apparteneva e accettò quella chiamata come una missione.
La situazione dei ragazzi ebbe una svolta. Il Tribunale dei Minorenni di Bari decise di affidarli al padre che se li portò a Reggio Emilia dove lavorava. Sono arrivati molti altri ragazzi con problemi difficili e alcuni anche nell’area penale. Inoltre la Casa ha una piccola mansarda ove abbiamo ospitato e ospitiamo donne in difficoltà.
La signorina Angela è sempre lì come responsabile. Ha trasferito la residenza da Vieste a Foggia allontanandosi, non senza dispiacere, dai fratelli e dai nipoti. Ci ha aiutato e ci aiuta nei momenti difficili. La sua presenza di nonna affettuosa, a volte molto condiscendente, continua a donare infinite attenzioni amorose ad ogni ragazzo ospite. Nella Casa c’è sempre un clima sereno e familiare. Tutti gli ospiti restano molto legati alla “loro casa” anche dopo anni sono dovuti andare via: lo dimostrano con scritti, telefonate e visite continue.
Sono convinta che Genoveffa sorride guardandoli, perché proprio nell’appartamento sopra la Casa dove lei visse, vivono ragazzi per la maggior parte provenienti dalla strada. Quei ragazzi che lei in vita ha tanto amato.
01/03/2016 (5. continua)
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SERVIRE NEL SUO NOME
di Anna Rita Nicoletti
Eravamo seduti nel salottino del Vice-Prefetto dr D’Agostino, che ci parlava familiarmente perché conosceva da tempo mio marito, in attesa che ci ricevesse il Prefetto dr Pasci che in quel momento era impegnato. Negli Uffici della Prefettura ormai eravamo di casa e il Prefetto si considerava un Volontario della nostra Associazione. Difatti, quando fu avvertito della nostra presenza, ci venne incontro sorridendo per annunciarci che aveva ottenuto, finalmente, lo stabile sulla statale Foggia- Manfredonia dal Consorzio di Bonifica e potevamo andare dal direttore dott. Mario Pellegrino per le dovute pratiche per la concessione gratuita.
Con p. Ermenegildo, sempre disponibile e pronto, condivisi la gioia di questa notizia. Ora potevamo concretizzare uno dei nostri sogni, quello di aprire una Casa per ospitare i detenuti che, non avendo alloggio né familiari, non potevano usufruire dei benefici della riforma carceraria come i permessi-premio, gli arresti domiciliari. Ma non fu così facile.
L’estenuante attesa burocratica ci portò ancora per parecchi mesi a scendere e salire le scale del Consorzio. Quando arrivò il giorno della consegna ufficiale delle chiavi, ci ritrovammo tutti lì davanti a quel rudere noto come Casello Candelaro, incuranti della pioggia fitta che bagnava i nostri occhi rossi. Non pensavamo minimamente di ripararci e, soprattutto, non ci rendevamo conto che , per mettere a posto quel rudere, occorrevano soldi e sarebbero passati molti anni. Avevamo tra le mani il bicchiere di plastica e noi, emozionati e felici, sorseggiavamo un po’ di spumante diluito di pioggia.
L’assegnazione di quella struttura circondata da un po’ di terra e l’assegnazione delle “Golene” (terreno laterale al fiume Candelaro) aveva messo in allarme gli abusivi che occupavano quella zona da tempo. Cominciarono così a minacciarci prima telefonicamente, poi passando ai fatti, cospargendo di benzina le porte dello stabile e della Cappella e appiccando il fuoco per ben tre volte, ma si bruciò solo il portone della Cappella mentre lo stabile non ebbe mai nessun danno. Il Signore e Genoveffa ci stavano proteggendo.
Un giorno arrivai sul posto con due Volontari. Un gruppo di abusivi, capeggiati da un anziano malavitoso di Manfredonia si diresse verso di noi. Dissi allora ai giovani Volontari di allontanarsi perché era meglio che parlassi da sola. I Volontari obbedirono a malincuore. Quando si avvicinarono, l’anziano, a voce alta, incominciò a imprecare. Dissi allora con voce sostenuta “di abbassare il suo tono di voce in quanto stava parlando con una signora”. Lui rimase un momento perplesso e, con un po’ di disagio, cercò di spiegarmi con voce moderata, le ragioni della sua eccitazione. Pur se non trovammo un vero accordo, da quel giorno non ci dettero più fastidio.
La “FATTORIA”, così la chiamammo subito, ospitò numerose persone di passaggio o che si fermarono per anni, tra cui alcuni che hanno usufruito della Casa per godere dei benefici previsti dall’Ordinamento Penitenziario. Pian piano la stiamo mettendo su con enormi sacrifici. Ora ha un laboratorio di falegnameria, uno di oggettistica e uno per la lavorazione del cuoio e della pelle, una mensa e una grande cucina con due bagnetti a piano terra. Al primo piano ci sono tre camere-dormitorio, tre bagni e la camera degli operatori.
Tre anni or sono abbiamo indetto Corsi per ragazzi nell’area penale. Per vari motivi abbiamo dovuto cambiare la destinazione del progetto iniziale e ospitiamo adolescenti profughi. La responsabile, Teresa Mossuto, una Volontaria che opera nella nostra Associazione da molti anni, affiancata da Dora, Remo, Antonio e tre Obiettori, porta avanti la struttura. I ragazzi che arrivano, hanno affrontato l’avventura pericolosa del viaggio clandestino, degli sbarchi. Sballottati non come persone, ma come oggetti. Da noi arrivano dalla Questura e dai Servizi Sociali, esausti, aridi e disperati. Per la loro età adolescenziale soffrono enormemente. Il loro stato e la lontananza dalla famiglia vengono superati, in parte, con l’amore materno di Teresa che riesce a sciogliere tensioni, riserbi e diffidenze, togliendo pian piano, dai loro sguardi, quel velo di malinconia.
Con l’aiuto di Remo e dei ragazzi, la fattoria sta cambiando aspetto. I gattini, il cucciolo di pastore belga che gioca con loro, il grande cancello nero che assicura la riservatezza, le panchine, le luci, gli alberi, il campo da calcetto e gli altri giochi danno sempre più alla struttura l’aspetto di una grande villa. I ragazzi ospiti ne sono fieri e, quando ricevono visite, mostrano orgogliosamente, volta per volta, i miglioramenti di cui, anche per merito loro, la Casa si arricchisce.
Noi cerchiamo con tutte le nostre possibilità e le nostre forze di dare a questi ragazzi una dimora che non sia un freddo Centro di prima accoglienza, ma una casa confortevole e ospitale e di giungere a questo obiettivo, anche con la loro collaborazione.
02/02/2016
(4. continua)
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SERVIRE IL SUO NOME
di Anna Rita Nicoletti
Nel Carcere di S Eligio a Foggia sono rimaste solo le donne e i semiliberi perché gli uomini sono stati trasferiti al carcere di massima sicurezza costruito nella zona delle Casermette. E’ ancora il periodo delle Brigate Rosse e sia il reparto di S. Eligio che il carcere maschile, ospitano piccoli e grandi terroristi e delinquenti di un certo calibro quali: Curcio e Vallanzasca.
La semi-libertà è una nuova conquista della riforma carceraria ma i beneficiari, rimasti a S. Eligio, sono facile bersaglio dei clan rivali. Le sparatorie sono all’ordine del giorno con numerosi morti e feriti.
La struttura di S. Eligio, prima che diventasse carcere, era una specie di Convento, quindi non vi erano celle particolari ma camere che si susseguivano in un lungo corridoio. Di indipendente c’era solo il piccolo appartamento delle suore: questo al 1° piano. Al pianterreno, invece, le camere, trasformate in celle, si affacciavano su un cortile interno così, sempre a piano terra, da una scala si arrivava direttamente in una camera che era stata adibita a Cappella e ad altre due camere – cucina e sala mensa per le donne -.
Quando il Cappellano non poteva raggiungere S. Eligio per la Messa domenicale, quest’ultima veniva ascoltata superando l’appartamentino delle suore che portava direttamente su una terrazza chiusa da una grata molto fitta, collocata sulla navata destra dell’altare della chiesa di S. Rita.
Per mancanza di spazio, nell’ora d’aria, le donne salivano su un terrazzino, dove al centro vi era la cupola della chiesa di S. Rita e lì, non potendo passeggiare, per lo spazio assai limitato, prendevano il sole in costume.
Le attività erano inesistenti, perciò, andavamo noi Volontari per intrattenerle o per insegnare loro a cucire, ricamare, fare l’uncinetto, la maglia o per l’alfabetizzazione.
In una delle mie visite conobbi una ragazza di S. Severo tossicodipendente che, con il suo fare canzonatorio e il suo menefreghismo, snobbava i Volontari e prendeva in giro le compagne che venivano da noi a parlare.
Con l’andar del tempo il suo atteggiamento si modificò e, pian piano, diventammo molto unite. Dopo un po’ ottenne gli arresti domiciliari perché aspettava un bambino. A S. Severo, sia lei che il suo convivente, erano molto conosciuti per spaccio e altri reati.
Un giorno, un gruppo di donne della Parrocchia dovevano consegnare delle pagelline di preghiere e, quando arrivarono alla sua porta, conoscendo il suo modo di fare, furono indecise se bussare.
Una di esse, la sig.ra Lucia Pistillo (che poi diventò una nostra volontaria) volle tentare. Raffaella (questo è il nome della ragazza) aprì la porta, e quando le vide, le respinse con parole pesanti. Nel frattempo il bambino che aveva avuto da pochi giorni, si mise a piangere e lei disse alle donne, che stavano andando via, di aspettare perché doveva prendere il piccolo.
Quando ritornò era più calma e, poiché non poteva restare accanto alla porta, le invitò ad entrare. Parlò con entusiasmo del nostro volontariato costruttivo e attivo, che lei apprezzava moltissimo, incuriosendo quelle pie donne che si misero in contatto con noi. Così, insieme con altri due volontari, ci incontrammo nella casa di Raffaella. Fu felice quando ci vide e promise che, se riuscivamo a fondare una sede a S. Severo lei avrebbe collaborato con noi. Il suo entusiasmo ci contagiò. Cercammo una sede.
Nel carcere di S. Severo, che noi frequentavamo, avevamo conosciuto monsignor Giuliani, una persona splendida. Quando gli parlai del progetto lui, che doveva prendere un appartamento per la Caritas, disse che ci avrebbe dato una camera per il nostro lavoro di Volontariato. Così, per il merito di Raffaella, si aprì la sede dell’Associazione a S. Severo, in Via Duomo. Al termine della sua condanna e di quella del ragazzo, Raffaella, che era sempre rimasta in contatto con noi, mantenne la promessa e fu una delle volontarie più attive del nostro Volontariato.
La droga è un male difficile da estirpare e vivere a S. Severo vuol dire anche lottare contro tentazioni continue. Cerchiamo di aiutarli, rivolgendoci a molte Comunità ma allora non venivano accettate coppie con un bimbo e Raffaella e il suo ragazzo volevano restare uniti. Riusciamo, infine, a trovare una Comunità in Francia disponibile ad accoglierli; così, sia pure a malincuore, partirono. Dalle loro lettere sappiamo che, dopo un lungo periodo di disintossicazione, hanno trovato lavoro, si sono sposati e hanno aperto un’associazione per aiutare i ragazzi con problemi di droga.
Nel frattempo a S. Severo, mons. Giuliani lascia l’appartamento per trasferirsi nei locali della Diocesi. La nostra Associazione, che si è distinta per il lavoro svolto nelle zone più degradate della città, riceve dal Comune in uso alcuni locali in Via Soccorso.
E’ in questo periodo che conosciamo una professoressa, da poco in pensione, che accetta l’incarico di coordinatrice: è la signora Raffaella Paolella. S. Severo ha, così, una sede propria e una responsabile in gamba.
24/11/2015 (3. continua)
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SERVIRE IL SUO NOME
di Anna Rita Nicoletti
Nel 1972, patrocinata dal Comune di Foggia, fu indetta la prima Mostra Biennale di pittura, scultura, schizzi e fotografie. L’avvenimento fece notizia e ne parlarono molti giornali locali e nazionali.
La salma di Genoveffa era traslata il 25 aprile 1965 dalla Cappella di S. Monica del cimitero nella chiesa dell’Immacolata di Foggia.
Genoveffa passo passo faceva il suo cammino nella canonizzazione e nel volontariato.
Nel giugno del 1981, alla presenza di autorità locali, provinciali e regionali, si inaugura la 5a e ultima Mostra Biennale poichéper mancanza di spazi, non sarà più possibile indirla.
Il volontariato nelle carceri è sempre più attivo. Un bel gruppo di Volontari, con il permesso del Direttore delle Carceri di Lucera, entra a far visita alle detenute. Tutte le occasioni (onomastici, compleanni, festività varie) sono buone per far sentire e dare il nostro calore umano.
Io che andavo spesso, conobbi Anna Lucia Preziuso che entrava nel carcere come volontaria perché la figura dell’Assistente Sociale non era stata inserita nelle professioni. Come amica ebbi modo di apprezzarla. Ora dirige il Servizio Sociale della Capitanata ed è rimasta così come l’ho conosciuta. Nel frattempo, Lucera chiudeva la Sezione femminile, spostando le poche donne rimaste al carcere di S. Eligio di Foggia.
Proprio in quel periodo arriva da Firenze una piccola suorina di nome Armida “tutto pepe” per sostituire una suora anziana.
Mi accorgo subito di avere di fronte una persona eccezionale aperta a tutti i problemi della vita. E’ un elemento valido per le detenute.
Il mondo carcerario sta cambiando fisionomia. L’età si abbassa notevolmente. I reati sono diversi.
I giovani riempiono le celle. Drogarsi è un reato. Si lavora ogni giorno in collaborazione anche perché nelle carceri c’è poco personale. L’astinenza dei ragazzi non viene curata e noi lavoriamo per aiutarli a superare i momenti critici.
Le riunioni settimanali per l’organizzazione dei Volontari ora si svolgono nella sala dell’Assistente regionale dell’Ofs nel Convento Immacolata. Abbiamo la disponibilità di uno stanzino, al 3° piano, per la conservazione di alimenti per i bisognosi e di oggetti che utilizziamo per le “pesche di beneficenza”. Noi vogliamo costruire qualcosa di concreto. Con una devota di Genoveffa, la sig.na Frattarolo parliamo del Progetto di una Casa per le ragazze in difficoltà e le ragazze-madri che vorremmo realizzare. Nei nostri sogni non vediamo un appartamento chiuso, ma luoghi con tanti spazi verdi dove i bambini possono giocare in libertà. Lei mi suggerisce di andare a parlare con le cugine Rosa e Giulia Figliolia, devotissime di Genoveffa, che avevo già conosciuto nella Celletta. Quando prendo appuntamento con la sig.na Giulia, lei conosce il problema poiché la cugina, precedentemente, l’aveva informata. Così l’incontro è fruttuoso. Le sig.ne Rosa e Giulia sono felici che venga fondata un’opera a nome di Genoveffa e perciò vorrebbero donare 3 ettari di terreno su Via Napoli.
Intanto si susseguono i Cappellani nelle Carceri e p. Arcangelo viene sostituito da p. Ermenegildo, il quale è subito disponibile a lavorare in collaborazione. Quando gli chiedo di essere il nostro Assistente – con la morte di p. Piermaria, ci sentivamo un po’ orfani per la sostituzione continua degli Assistenti - lui accetta. Anche il Postulatore è stato nominato ed è p. Leonardo Triggiani. L’allora Superiore dell’Immacolata, p. Giancarlo, ci convoca per dirci chiaramente che non c’era più posto nei locali del Convento per il nostro gruppo. Amareggiati e delusi ci mettiamo in cerca di un appartamento. I fitti per l’appartamento sono alti. Perciò la nostra ricerca è lunga.
Nel frattempo sentiamo l’esigenza di formare legalmente l’Associazione denominata “ Genoveffa De Troia”, così il 19 giugno 1985, nello studio del notaio Romagnoli si sottoscrive l’atto costitutivo con il relativo statuto.
Con l’aiuto di p. Ermenegildo, si indice il 1° Convegno nella nostra Provincia sulle Carceri “Al di là delle sbarre c’è un uomo”, che si svolge nella sala della Biblioteca Prov.le con la partecipazione del Direttore delle Carceri, una Suora di Betania, il Cappellano nazionale delle Carceri e il Magistrato di Sorveglianza. Fa da moderatore p. Ermenegildo. La Biblioteca è gremita.
Dopo questo successo, prepariamo subito un Corso per Volontari nelle Carceri. Si iscrivono ben 500 persone; 110 Assistenti Sociali. Le lezioni si svolgono nella Sala dell’Istituto Maria Regina, dopo avere operato, a malincuore, una selezione per la frequenza del Corso. Gli esami e i diplomi finali vengono dati nella Sala Grande della Biblioteca dell’Immacolata alla presenza del Cappellano nazionale del Carcere e dell’allora Vescovo monsignor De Giorgi. Il 20.4.1986 firmiamo il Contratto di locazione di un appartamento in precarie condizioni di abitabilità alla portata, però, delle nostre possibilità finanziarie in Via G. Urbano n. 56.
03-11-15
(2. Continua)
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CONSOLAZIONE
Latente, in ognuno di noi, c’è sempre un desiderio di consolazione. Esso si rivela chiaramente di fronte a una scomparsa che sconvolge la nostra esistenza.
È possibile consolazione per chi abbiamo perso, che non c’è più fisicamente, ma che sentiamo “presente” e vicino a noi, attraverso un’altra forma?
Nell’Associazione di volontariato -per tutto quello che essa ha significato per Anna, per la sua dedizione alla Venerabile Genoveffa- io ho trovato consolazione.
Avevo bisogno di essere consolato e aiutato, solo l’Associazione poteva darmi la “presenza” di Anna, e i “volontari” che ne hanno condiviso speranze e delusioni, gioie e sofferenze.
Io avevo bisogno della loro vicinanza.
Il “Dio di ogni consolazione” (2 Cor 1,3), mi consola attraverso l’impegno in Associazione che mi dà così la possibilità di consolare altri.
La consolazione di Cristo ricevuta diviene, infatti, proposta di dono offerto anche agli altri.
Continuerò a portare nel volontariato di Genoveffa ciò che porto ogni giorno al Signore, cioè l’offerta incondizionata di quello che sono, che ho e che posso.
Sono ancora in un luogo di lavori in corso, diverso ma sempre impegnativo ed entusiasmante.
Consola la preghiera, più intensa, e la vicinanza di fratelli e sorelle nella fede e nel servizio.
Non risolve, non guarisce, ma consola.
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SERVIRE NEL SUO NOME
Riportiamo, in ordine cronologico, come pubblicati su “L’Amico del terziario”, una serie di articoli della fondatrice della fondatrice dell’Associazione Anna Nicoletti. Sembra non esserci, ma c’è un filo conduttore, un fil rouge che sottende alla narrazione ed è l’amore per genoveffa e il suo “come vuole Gesù”.
Anna ha intuito, nella vita e negli insegnamenti di Genoveffa, la propria vocazione a servire e ha posto le radici del volontariato che porta il nome della venerabile.
Ed è questa storia che vogliamo raccontare.
SERVIRE NEL SUO NOME
di Anna Rita Nicoletti
<<Padre mio, non permettete che dopo la mia morte la mia celletta sia abbattuta e che si disperdano queste anime che sono la mia Famiglia Spirituale. Questa celletta, che io ho voluto e che voi mi avete preparata e donata, dev’essere come lo è stata finora, la loro casa di preghiera e di fraternità… Questa celletta dovrà essere casa di preghiera, focolare di beneficienza, specie per i fanciulli orfani e abbandonati1>>.
Così, più volte, quasi pregando, Genoveffa aveva ripetuto al suo padre spirituale e confessore p. Angelico da Sarno. Difatti, p. Angelico aveva riunito tutti quelli che l’avevano conosciuta, più i nuovi iscritti, formando un nutrito gruppo di preghiera che si riuniva ogni venerdì pomeriggio nella “Celletta” di via Genoveffa De Troia di Foggia (ex via Briglia) per recitare il S. Rosario e celebrare la S. Messa il giorno 11 di ogni mese (giorno della sua morte) e giorno 21 (giorno della sua nascita) nella Casa Natale di via Di Vagno, 5 a Lucera. Nel corso degli anni, spesso, confidavo a p. Angelico che il testamento verbale di Genoveffa per me non poteva essere limitato solo alla preghiera ma doveva concretizzarsi in opere di solidarietà.
P. Angelico non rispondeva, però mi guardava con tenerezza: sapeva che la Venerabile in vita, dal suo lettino di dolore, per 44 anni, aveva ascoltato e consolato moltissime persone che vivevano la tragedia di avere un congiunto in guerra. Genoveffa fu, infatti, presenza tangibile nei giorni di sangue, di terrore e di disperazione che trivellarono l’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale (specialmente in quest’ultima). Le notizie arrivavano con notevole ritardo e l’ansia delle madri per i figli, le spose per i mariti, i figli per i padri e per i fratelli era grande. Per non andare a mani vuote portavano un pezzo di pane, un po’ di riso o un po’ di pasta e Genoveffa ringraziava facendo deporre il piccolo dono in una cesta posta sotto il suo lettino. Gli stessi doni li inviava, poi, alle persone bisognose. Nessuno mai seppe come facesse Genoveffa a sapere chi, in quel momento, avesse più fame.
Nell’immediato dopoguerra, un giorno, un gruppo di donne della Parrocchia, che aveva avuto da Genoveffa conforto spirituale, chiese cosa potevano fare per lei. Genoveffa s’illuminò e disse di distribuire un pasto caldo al giorno ai tanti bambini poveri e orfani presso le Casermette ove, gente senza casa, aveva occupato le strutture militari. Sorse così la Mensa dell’Addolorata per ben 200 bambini che funzionò fino a quando i militari ripresero possesso di tutte le loro strutture.
Padre Angelico, che era anche Cappellano delle Carceri di Foggia, il giorno del suo 50° anno di sacerdozio, volle festeggiarlo nelle Carceri. Mi invitò assieme agli altri e insistette perché ci andassi.
Era il 1960, avevo 20 anni e un po’ di timore, ma quando varcai la soglia dell’allora “S. Eligio”, il timore passò e al suo posto subentrò una grande gioia. Ero felice di stare tra quella gente. Da quella prima volta ad oggi sono andata sempre a trovare quelle persone provando gioia e emozione ad ogni incontro.
Nel 1964, venerdì santo, mi avvertirono della morte di p. Angelico. Corsi nell’allora camera mortuaria di Via Arpi e, quando la sorella mi vide, mi abbracciò piangendo dicendomi che p. Angelico mi aveva cercata perché doveva parlarmi. Questo pensiero mi ha seguito per molti anni. Nel 1968 riuscii, dopo vari tentativi, a riunire un piccolo gruppo di persone e p. Lino (il sacerdote che aveva preso il posto di p. Angelico) ci concesse di riunirci in un piccolo abbaino sulla terrazza di un appartamento che lui aveva preso in fitto a Corso Roma per farne un Ufficio. Ricordo i vetri rotti e le cassette della frutta in legno per sederci. Lì ci ritrovavamo per confezionare scialli, pedalini e papaline per gli anziani di Maria Grazia Barone che, a quel tempo, era un ospizio. Pur se provvedemmo, a nostre spese, a cambiare i vetri rotti, soffrivamo molto il caldo d’estate e il freddo d’inverno, non potendo permetterci neanche una stufetta per scaldarci perché non c’era la corrente elettrica.
Verso la fine del 1970 p. Lino ebbe un locale nella struttura della chiesa dell’Immacolata e lasciò l’appartamento di corso Roma, noi restammo senza sede.
Pregammo il padre Guardiano che ci fece appoggiare in un locale comune e lì preparammo la prima pesca di beneficenza per raccogliere qualche soldo. Il nostro Assistente di allora era p. Pier Maria. Il gruppo, intanto, si arricchiva sempre più di altri elementi validi e le iniziative si moltiplicavano.
(1. Continua)
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1- Cfr. FERNANDO da RIESE PIO X, Genoveffa de Troia.
Su un letto per il mondo senza confini. Ed. Laurenziane Padova, Collana
I Testimoni, 1974, p. 153.